martedì 4 agosto 2009

Una giornata in mare per il tradizionale "strascico"

Antica tecnica di pesca: la più diffusa, ma anche la più controllata

Non importa se estate o inverno, mare calmo o mosso, ma ancora nella notte i marinai lasciano le case con un fagottino sotto il braccio per dirigersi verso il porto; in banchina sembra tutto immobile, all’improvviso le cabine si illuminano, parte qualche motore, un viavai di uomini tra prua e poppa e la barca è già pronta a mollare gli ormeggi. Lentamente si guadagna l’imboccatura del porto e subito dopo motori al massimo verso il mare aperto per raggiungere prima di altri la zona prescelta dal comandante (armatore) in base a conoscenze tramandate di padre in figlio e al lungo praticantato; ora questo compito è facilitato, le barche comunicano tra di loro e a terra segnalandosi la posizione del pesce e una sofisticata strumentazione permette la precisa localizzazione delle barca.La pesca a strascico deriva dall’antica “tartana” una rete che veniva trascinata da due “paranze”, mentre oggi la rete ha la forma di un grande imbuto chiuso sul fondo “sacco” infoderato in maglie di gomma “pagliette” antiusura; la rete è bordata da cavi: in alto “lima di scuro”, in basso “lima di piombi” , mentre lateralmente ha due bracci “parei” a cui sono legate grosse corde le “calomme”.
La “calata” della rete è operazione veloce e pericolosa (si rischia di rimanervi impigliati) ma nello stesso tempo delicata (la rete deve essere ben adagiata sul fondo); durante il tiro, il comandante deve evitare a memoria le “presure” relitti (imbarcazioni, aerei, ecc.) dove la rete potrebbe rimanere impigliata.
















Dopo 3-4 ore di "strascico", la barca si arresta ed iniziano le operazioni di “salpamento”; con un potente verricello viene issata a bordo “la saccata” e il suo contenuto rovesciato a poppa.
Mentre la barca riparte, inizia la cernita del pesce migliore nelle “coffe”, grosse ceste in plastica (una volta in vimini), quindi il rimanente sistemato in cassette e stivato in cella frigorifera, un’altra parte del pescato costituirà la “scafetta” come incentivo per i marinai, il restante, circa il 30%, viene rigettato in mare perché troppo piccolo.
Terminato lo stivaggio e in attesa della “salpata” successiva, gli addetti alle pulizie lavano la coperta, il motorista controlla il motore, l’armatore in plancia dirige la barca, il cuoco provvede al sostanzioso pasto a base di pasta con pesce lavato e cucinato con acqua di mare e vino, servito come tradizione in piatti di metallo “camillini".

Calata, salpata e cernita si sussuegono fino al pomeriggio quando si rientra in tempo per poter partecipare al sorteggio per la vendita all’asta; con sapienti manovre di “cime, gomene e nodi”, la barca viene ormeggiata alle “bitte” in banchina, il pescato viene rapidamente scaricato dagli “sbalzocchi”, facchini del vicino mercato, e qui dopo controllo sanitario, venduto.
Ma il lavoro dei marinai non è terminato, bisogna lavare e riordinare l’imbarcazione e le attrezzature, issare la rete e lasciata asciugare, controllare eventuali rotture, i galleggianti, i piombi ed eseguire la manutenzione del motore e della strumentazione, infine provvedere alle scorte: di carburante, di acqua dolce e alimentari; insomma bisogna compiere tutti i quei lavori che permetterano di affrontare, giorno dopo giorno, una successiva giornata in mare in perfetta efficienza e sicurezza.

Nessun commento: